Il Concerto per viola di Béla Bartók nasce nel 1945 su commissione; fu infatti il grande violista William Primrose a chiedere al compositore ungherese di occuparsi della stesura di un concerto a lui dedicato, e lo pagò per farlo.
Inizialmente Bartók non era sicuro di essere all’altezza di questo compito, dal momento che non si era mai cimentato nella scrittura per viola solista e sentiva di non conoscere appieno le possibilità e i limiti di questo strumento.
Primrose allora lo invitò ad ascoltare una sua esecuzione del Concerto per viola di Walton e, successivamente, lo stesso Bartók si impegnò nell’ascolto anche di altre grandi composizioni per viola, come il famoso Aroldo in Italia di Berlioz: sentendosi così più pronto e motivato - ma anche spinto da questioni puramente economiche - accettò finalmente il lavoro.
In una disperata lettera indirizzata ad un amico nel 1942, Bartók scriveva:
La mia carriera di compositore è praticamente finita; continua il boicottaggio quasi totale delle mie opere da parte delle orchestre importanti; non si eseguono né le mie opere vecchie, né le nuove; è una vergogna, ma non per me evidentemente.
Da quando nel corso della Seconda Guerra Mondiale era emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti, Bartók aveva vissuto un periodo di terribile abbandono, isolamento e povertà: Howard Hanson, il presidente reazionario e xenofobo della Eastman School of Music, aveva respinto la sua domanda per una posizione di insegnante, nonostante egli fosse probabilmente il più importante compositore ed etnomusicologo del suo tempo.
Purtroppo però, gravemente malato di leucemia, Bartók si spense il 26 settembre 1945 lasciando così incompiuto il suo concerto per viola. Soltanto tre settimane prima della sua morte, egli scriveva a Primrose:
Sono molto contento di dirvi che il Concerto per viola è pronto in abbozzo; non resta più che da scrivere la partitura, cioè un lavoro puramente meccanico, per così dire. Se tutto va bene, mi sbrigherò in cinque o sei settimane, ossia potrò mandarvi una copia della partitura d'orchestra nella seconda metà di ottobre, e poche settimane dopo una copia (o più copie, se volete) dello spartito per pianoforte. Molti interessanti problemi mi si sono presentati durante la composizione di questo lavoro. L'orchestrazione sarà piuttosto trasparente, più trasparente che nel Concerto per violino. Anche il carattere cupo, più virile del vostro strumento ha esercitato una certa influenza sul carattere generale del lavoro. La nota più alta che uso è il "la", ma sfrutto piuttosto frequentemente i registri bassi. Il lavoro è concepito in stile virtuosistico...
Il “meccanico” compito di orchestrare questo concerto fu assolto da Tibor Serly, il suo più fedele e devoto allievo, che ebbe modo di decifrare il materiale che Bartók aveva lasciato: quindici pagine di manoscritti maneggiabili con familiarità solo da chi aveva potuto apprendere i metodi del maestro come Serly.
Egli scrisse in proposito:
Bartók non lavorò mai ad una partitura ridotta o ad una riduzione per pianoforte. A lui non piaceva fare riduzioni pianistiche e ha sempre rifiutato di farlo. Bartók era uno di quei rari compositori che pensano in modo orchestrale; ha cercato di fare l'orchestrazione come meglio poteva e in modo che fosse chiara e facilmente eseguibile. Egli non era solito procedere scrivendo prima l’armonia e poi la melodia. Questo manoscritto non è in alcun modo una bozza. Dove è stato completato è stata scritta ogni singola parte strumentale, ogni singola particella. Tuttavia non ha assegnato alle voci della partitura gli strumenti dell’orchestra corrispondenti, se non in pochissimi casi. Se quelle parti si fossero potute decifrare ad una prima lettura, l'orchestrazione sarebbe stata completa così com'è. Ho dovuto decifrare chiaramente gli schizzi in modo che tutto andasse a posto: battute saltate, aggiunte, e altre modifiche. Ora, ci sono alcuni brevi momenti, ad esempio nel movimento lento, dove egli sapeva esattamente cosa voleva fare, ma l’orchestrazione è soltanto accennata. Ci sono altre parti invece, come nell'ultimo movimento, in cui emerge solo la linea melodica, anche se egli sapeva bene cosa stava succedendo lì; semplicemente non l’aveva scritto.
Dopo 2 anni il concerto fu interamente completato ed eseguito per la prima volta il 2 dicembre 1949 dalla Minneapolis Orchestra sotto la direzione di Antal Doráti e con William Primrose alla viola solista.
Lo stesso Serly si preoccupò, sull’insieme degli abbozzi del compositore, di completare le ultime 17 battute del Terzo Concerto per pianoforte e orchestra, con il quale questo Concerto per viola presenta molti punti di contatto sia spirituale che estetico.
Infatti in ambedue i concerti il linguaggio di Bartók tende ad evadere dalla tensione drammatica caratteristica dei suoi grandi capolavori precedenti - quali la Cantata profana, il Quinto Quartetto, la Musica per strumenti a corda, celesta e percussione, la Sonata per due pianoforti e percussione - per manifestarsi nelle forme di un accentuato lirismo.
Il Concerto per viola è costruito attorno alla tonalità di La ed è ricco di cromatismi, sequenze modali, sezioni esatoniche ed ottotoniche e raccoglie numerosi rimandi alla musica popolare. Inizialmente Bartók ne pianificò la struttura con l’intento di emulare quella dell’Aroldo in Italia di Berlioz: quattro movimenti collegati in un flusso continuo senza interruzioni e con un tema ricorrente presente in ciascun movimento. Tre sono invece quelli dell'abbozzo, collegati da brevi episodi di transizione: un Lento parlando tra il primo e il secondo, e un Allegretto tra il secondo e il terzo.
La parte della viola concertante si presenta per contro interamente compiuta: ad essa è affidata, nel Moderato iniziale in forma sonata, l'esposizione di tutto il materiale tematico.
“Il movimento inizia con un solo della viola accompagnato da leggeri impulsi ritmici. La cadenza solistica in accelerando ci rivela che le prime 13 battute sono un’introduzione, dopo la quale comincia finalmente il vero e proprio tema. Il secondo tema è fantasticamente cromatico e contrappuntistico, e non trova parallelismo in nessun’altra musica di Bartók. Le scale salgono, cadono e si intrecciano… Eppure l'effetto reale è quello di un momento di calma e riposo”. (Serly)
L'indicazione Adagio religioso fu attribuita al secondo tempo da Serly, per una supposta analogia con il tempo centrale del Concerto n. 3 per pianoforte: la forma, però, non è qui ABA', bensì ABC, dove C è una reminiscenza del primo tema del primo tempo.
“Un breve interludio, Lento parlando, precede il secondo movimento, ricordando l'improvvisazione di un cantore. Il motivo del fagotto solista lo collega al secondo movimento vero e proprio. La semplicità espressiva di questa musica è determinata dall’utilizzo della forma di canzone ternaria. Bartók è riuscito qui a sfruttare tutti i registri della viola. Verso la fine si ripresenta il motivo del tema del primo movimento, che accelera in una cadenza e conduce senza sosta all'introduzione in Allegretto del terzo movimento”. (Serly)
Particolarmente disordinato è infine il manoscritto del conclusivo Allegro vivace: non è tuttavia difficile riconoscervi la caratteristica cifra bartókiana nelle frequenti venature folcloriche, nel vivace piglio ritmico, nell'allusione nostalgica ai valori di una civiltà irrimediabilmente perduta con l'esilio.
“In contrasto con ciò che lo ha preceduto, il finale è una danza gioiosa in forma di rondò, più rumena che ungherese nel carattere. La viola solista procede senza sosta, rallentando leggermente con l’arrivo del motivo folcloreggiante del trio. Da qui in poi, le formazioni di scale cromatiche ascendenti e discendenti ricordano l’uso simile del cromatismo nel secondo tema del primo movimento. Quattro battute di Tutti in fortissimo, seguite da una scala ascendente della viola, portano il Concerto a una conclusione mozzafiato”. (Serly)
E ora non mi resta che augurarvi buon ascolto!!!
Ho trovato e vi segnalo questa bellissima registrazione (circa 1950) del concerto suonato proprio da Primrose sotto la direzione di Serly.
Fatemi sapere cosa ne pensate... A presto!
Comentários