LA VIOLA: tutto il repertorio prima del XX secolo.
- marta_violetta
- 14 apr 2020
- Tempo di lettura: 23 min
Aggiornamento: 20 apr 2020
"Esistono importanti composizioni per viola prima del Novecento?"
"Quali compositori e importanti musicisti del passato suonavano la viola?"
"Sì ma il repertorio classico per viola è povero rispetto a quello per violino..."
Queste sono solo alcune delle domande e delle affermazioni che spesso mi sono state rivolte in quanto violista... E voi ci avevate mai pensato? Siete curiosi di saperne di più?
Io, ad esempio, non sarei così sicura della presunta povertà del repertorio per viola di questo periodo... Probabilmente è solo poco conosciuto ai "non addetti ai lavori", e soprattutto poco approfondito.
Ma niente paura! Cominciamo subito facendo un viaggio all'indietro nel tempo per conoscere finalmente tutto quello che c'è da sapere sulla musica scritta per viola...
Partiamo da ciò che è stato originariamente "preso in prestito" dal repertorio per altri strumenti, ma che oggi è da tutti riconosciuto come parte integrante del repertorio violistico.
Trascrizioni e arrangiamenti per viola
Trascrivere musica per adattarla a diversi strumenti è stata una pratica comune per molti secoli, e, nel caso della viola, ha giocato un ruolo fondamentale nell’arricchimento del suo repertorio prima del XX secolo.
Le più importanti trascrizioni per viola sola provengono dalle composizioni per violino e per violoncello di J. S. Bach e dai 24 Capricci per violino di Paganini. Anche altri brani romantici, oggi parte fondamentale del repertorio violistico, non erano originali per viola: il Notturno, Op. 42 di Beethoven, l’Arpeggione di Schubert e le Due Sonate di Brahms.
J. S. Bach fu uno dei primi compositori a fare uso di trascrizioni: la Sonata per Clavicembalo e Viola da Gamba No. 1 in Sol maggiore (BWV 1027), era scritta originariamente per due flauti (BWV 1039). Oggi la viola da gamba non è più adoperata così frequentemente come ai tempi di Bach, e viene spesso sostituita con la viola.
Quelle che hanno avuto maggior impiego come brani da concerto, ma soprattutto a scopo didattico per lo sviluppo della tecnica del violista, sono le trascrizioni per viola delle Sei Suites per Violoncello Solo di Bach: composte probabilmente tra il 1717 e il 1723, ne esistono oggi moltissime versioni diversamente arrangiate per viola, e questo si deve principalmente al fatto che non ci sono giunti i manoscritti autografi di Bach, ma soltanto due copie manoscritte divergenti tra loro, una realizzata da Anna Magdalena Bach e una da Johann Peter Kneller.
Le diverse edizioni esistenti, curate da eminenti violisti, quali Watson Forbes, Milton Katims e William Primrose, sono revisioni pensate per la miglior esecuzione possibile nello stile barocco; presentano diverse possibili soluzioni di arcate, diteggiature e dinamiche, e questo lascia ad ogni artista un’ampia varietà di esecuzione ed interpretazione secondo la propria sensibilità emotiva ed intellettuale.
Un altro esempio di trascrizioni dal violino alla viola sono anche le Sei Sonate e Partite per Violino Solo di Bach. Sono sicuramente tra le composizioni per violino più tecnicamente difficili mai scritte; al violino, considerato fino a questo momento come uno strumento solista, Bach impone una funzione musicale completa, senza accompagnamento, con fughe a tre e persino quattro voci.
Degne di menzione sono anche le trascrizioni per viola dei famosi Concerto per Due Violini (BWV 1043) e Concerto per Violino e Oboe (BWV 1060) di Bach, entrambi trasposti per violino e viola da Lionel Tertis.
I Capricci per violino solo di Paganini sono un altro importante esempio. Sono considerati studi per il violista avanzato, ma solo una parte di questi 24 pezzi è eseguibile sulla viola a causa delle enormi difficoltà che si riscontrano, non solo per quanto riguarda la tecnica, ma soprattutto per le limitazioni dello strumento stesso; le dimensioni della viola, maggiori rispetto al violino, diventano quasi un impedimento quando si presentano passaggi di doppie corde con intervalli maggiori di un’ottava (es. Capriccio No. 4), oppure ottave diteggiate (es. Capriccio No. 23), la cui buona riuscita dipende in gran parte dalla dimensione della viola e della mano del violista. Violisti come William Primrose hanno dato prova del loro virtuosismo cimentandosi in questi pezzi.
Ispirate dal famoso clarinettista Richard Mühlfeld (1856-1907) sono le Due Sonate per clarinetto (o viola) e pianoforte di Johannes Brahms; Brahms dedicò, infatti, al musicista tutte le sue composizioni per clarinetto.
Oltre alle sue composizioni originali per viola, Brahms trascrisse per viola anche diverse parti originali per strumenti a fiato. Scelse la viola come alternativa al clarinetto nelle due Sonate per Clarinetto e Pianoforte, Op. 120 (No. 1 in Fa maggiore e No. 2 in Mi bemolle maggiore). Il clarinetto può essere sostituito dalla viola anche nel suo Trio per Clarinetto, Violoncello e Pianoforte, e nel suo Quintetto per Clarinetto e archi, e, qualche volta, la viola prende il posto del corno nel suo Trio per Corno, Violino e Pianoforte.
Rispetto ad altre composizioni per viola che furono trascritte e arrangiate da altri compositori o violisti, le due Sonate per Clarinetto e Pianoforte furono trascritte per viola da Brahms stesso; completate nel 1894, furono successivamente trascritte e pubblicate nel 1895 con il titolo Zwei Sonaten für Klarinette (oder Bratsche) und Pianoforte von Johannes Brahms Op.120 Nr.1 F moll, Nr.2 Es Dur.
La parte del pianoforte è la stessa per entrambe le versioni, ma, nella trascrizione per viola, lo stesso Brahms fece delle modifiche nella parte originale di clarinetto, aggiungendo doppie corde e, in diversi punti, il cambiamento di registro di un’ottava, perché si adattasse meglio all’estensione e sonorità della viola.
Oggi ci sono molte edizioni delle Sonate di Brahms arrangiate per viola; le principali differenze sono le articolazioni scelte da ciascun editore, e questo fa sì che ogni esecutore possa scegliere in base alle proprie preferenze. La maggior parte di quelle che vengono suonate oggi non sono però arrangiate da Brahms, perché i violisti moderni hanno migliorato notevolmente le loro abilità esecutive e sono in grado di suonare versioni molto più simili a quelle per clarinetto; la migliore è attribuita a Milton Katims.
Come Brahms, e probabilmente sotto la sua influenza, anche il compositore tedesco Max Reger trascrisse per viola alcune sue composizioni per clarinetto, come la Sonata No. 3 Op. 107. Questa composizione ha oggi un posto importante nel repertorio violistico ed è spesso scelta come pezzo richiesto nelle competizioni internazionali.
Reger scrisse tre Sonate per Clarinetto e Pianoforte: le prime due (Op. 49) furono composte nel 1900; La Sonata in Si bemolle maggiore Op. 107 fu l’ultima, completata nel 1909. Più tardi Reger ne trascrisse due versioni, una per violino e una per viola.
Ludwig van Beethoven (1770-1827) non ci ha lasciato lavori originali per viola sola; nonostante questo, ha un ruolo importantissimo nella musica da camera. Il Notturno in Re maggiore per Viola e Pianoforte Op. 42 è l’arrangiamento di un suo precedente lavoro: la Serenata in Re maggiore per Violino e Pianoforte Op. 8. Beethoven non era soddisfatto di questo arrangiamento, che scomparve dai cataloghi pubblicati dopo il 1890, per poi ritornare nel repertorio violistico nel XX secolo, grazie ad una trascrizione edita da Sydney Beck.
Anche Lionel Tertis curò degli arrangiamenti di opere di Beethoven: le Variazioni sul Tema di Mozart Op. 66, e la Sonata per Viola e Pianoforte in Sol minore Op. 5, No. 2, dall’originale per violoncello e pianoforte.
La Sonata per Arpeggione e Pianoforte, D. 821 di Franz Schubert è uno dei primi lavori mai stati scritti per l’arpeggione, uno strumento inventato dal liutaio Johann Stauffer nel 1823.
L’arpeggione è uno strumento a sei corde ibrido tra il violoncello, del quale conserva buona parte della tecnica esecutiva, e la chitarra, della quale ha l'accordatura, la forma della cassa e la tastatura del manico. Viene suonato con l'arco e tenuto tra le ginocchia. Questo strumento ebbe un breve periodo di popolarità dopo la sua invenzione, ma nel decennio successivo era già stato dimenticato, e venne riscoperto solamente alla fine del XX secolo.
Oggi, la Sonata “Arpeggione” di Schubert esiste principalmente in forma di trascrizione; la viola, a differenza degli altri strumenti ad arco, ha inserito questo pezzo nel suo repertorio. Sono state fatte trascrizioni anche per violoncello, contrabbasso, flauto, clarinetto e chitarra.
Henri Vieuxtemps (1820-1881) era un compositore belga e uno dei migliori violinisti del XIX secolo dopo Paganini. Spesso paragonato a quest’ultimo, Vieuxtemps si distingueva per la sua tecnica straordinaria e le sue innovazioni nello stile esecutivo, nonostante egli ritenesse l’abilità tecnica subordinata rispetto alle emozioni. Il suo modo di suonare era perfetto, aggraziato, il suo suono morbido e pulito per merito della sua maestria nel controllare l’arco.
Fu autore di numerose composizioni che sono parte del comune repertorio violinistico, ma scrisse anche pezzi per viola, e trascrisse lavori che hanno contribuito ad ampliarne il repertorio: uno di questi è il Capriccio in Do minore per Viola Sola Op. 55, un brano virtuosistico originale per violino, che fu pubblicato postumo (Op. 9 post.) e dedicato come omaggio ai Capricci per violino di Niccolò Paganini. Questo pezzo richiede grande abilità tecnica, carattere e alta maturità musicale per poter essere eseguito con successo.
Oltre ad arrangiamenti di proprie composizioni, Vieuxtemps trascrisse anche pezzi di altri compositori, ad esempio la Sonata per Viola e Pianoforte Op. 108, che è un arrangiamento del Quintetto per Clarinetto e archi K 581 di Mozart.
La trascrizione di Zoltán Kodály (1882-1967) per viola sola della Fantasia Cromatica di Bach è un pezzo molto impegnativo del repertorio violistico. Questo compositore ungherese è famoso per il suo contributo all’etnomusicologia e all’educazione musicale, oltre che per le sue composizioni.
La Fantasia Cromatica in Re minore di Bach, originariamente scritta per clavicembalo, è diventata una delle composizioni romantiche predilette dai virtuosi del pianoforte per la bellezza dei suoi contorni melodici e l’intensa difficoltà tecnica che richiede. L’arrangiamento realizzato da Kodály, edito da William Primrose, fa della viola uno strumento virtuosistico: i passaggi arpeggiati, che sono la realizzazione degli accordi originariamente scritti nella parte del clavicembalo, rendono il brano molto simile ai Capricci di Paganini. I violisti necessitano di una solida tecnica per poter eseguire questo pezzo, che è diventato d’obbligo nel repertorio scelto in importanti concorsi di esecuzione violistica, come la Lionel Tertis International Viola Competition.
Avete visto quanto materiale? E non è ancora tutto! Arriviamo ora alle composizioni originali.
Composizioni originali per viola
La viola è stata gradualmente accettata da compositori e direttori d’orchestra come strumento ricco di potenzialità e meritevole di opportunità, ma, come già detto, fino al XX secolo non fu mai presa in considerazione come strumento solista.
A causa dei suoi limiti acustici e della sua caratteristica tessitura, alla viola è sempre stata affidata la voce intermedia dell’armonia, in orchestra così come nella musica da camera; e, nei passaggi melodici, quasi sempre ridotta all’unisono con un altro strumento ad arco.
Poiché non era d’uso affidare un ruolo di primaria importanza alla viola, esistono pochissimi concerti classici e barocchi per viola solista.
Una notevole eccezione sono il Sesto Concerto Brandeburghese, in cui le viole soliste sono due, e il Terzo Concerto Brandeburghese, nel quale tre viole hanno un ruolo melodico principale; entrambi composti da J. S. Bach.
Nella seconda metà del XVIII secolo i compositori cominciarono ad esplorare le possibilità della viola, valorizzandone il ruolo. Uno dei primi concerti per viola è attribuito a Telemann, probabilmente scritto prima del 1740. Telemann scrisse molti lavori dedicati alla viola; il suo Concerto in Sol maggiore e il Concerto per Due Viole sono molto conosciuti.
Tuttavia, è stato soltanto con la Sinfonia Concertante di Mozart (1779) e l’Aroldo in Italia di Berlioz (1834) che furono dimostrate per la prima volta le innegabili capacità solistiche della viola.
A partire dal 1750, il crescente sviluppo delle abilità tecniche dei violisti spinse i compositori a scrivere molta più musica per viola.
Il tedesco Karl Stamitz fu uno tra i primi a comporre concerti per viola, e fu anche il primo ad indicare un pizzicato di mano sinistra in una sua composizione, come accade nel Concerto per Viola in Re maggiore Op. 1, pubblicato nel 1774. Nel tema principale del primo movimento di questo concerto compare un passaggio di sestine di semicrome in ottava, in posizione alta, che vanno eseguite in tempo veloce e richiedono una grande precisione di intonazione.

Per questo motivo questo concerto è diventato uno dei brani di repertorio delle audizioni orchestrali, come anche il Concerto per Viola in Re maggiore di Hoffmeister.
Stamitz era un virtuoso della viola e della viola d’amore, come anche del violino, e le sue composizioni riscuotevano molto successo tra i suoi contemporanei. Fu anche uno dei più produttivi compositori per orchestra. I suoi concerti per viola sono pieni di idee creative; oltre a formule stilistiche comuni agli altri concerti di quel periodo, Stamitz inserisce numerosi passaggi in doppie corde, armonici e pizzicato di mano sinistra, tecnica associata al virtuosismo che non era così usuale all’epoca. Inoltre anche l’orchestrazione è particolare e degna di nota: troviamo infatti due parti di viola invece che una, e una coppia di clarinetti sostituisce i più tradizionali oboi.
Franz Anton Hoffmeister fu un importante compositore ed editore tedesco. Il suo Concerto per Viola in Re maggiore è diventato uno dei più rappresentativi concerti classici per viola. Lo stile classico, i toni caldi del registro intermedio della viola e i passaggi virtuosistici fanno di questo pezzo uno dei preferiti da usare nelle competizioni e nelle audizioni. Questo e il Concerto in Si bemolle maggiore sono molto simili a quello di Stamitz; la regale eleganza dei movimenti di apertura, la bellezza melanconica dei tempi lenti centrali e la gioiosità dei rondò finali esplorano l’intero registro della viola, da quello più acuto e brillante al più grave, caldo e ricco.
Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert sono i quattro compositori più rappresentativi del periodo classico (1770-1837). Tuttavia se ne potrebbe aggiungere un quinto, meno conosciuto, Johann Nepomuk Hummel, che fu il più famoso allievo di Mozart e maestro di numerosi virtuosi romantici, tra cui Mendelssohn. Come compositore fu molto apprezzato anche da Berlioz e Listz, e nonostante sia rimasto a lungo dimenticato, oggi le sue composizioni sono molto eseguite e conosciute.
Hummel fu un pianista e compositore austriaco, la cui musica riflette pienamente la transizione dal Classicismo al Romanticismo; era considerato il miglior improvvisatore dell’epoca, e la sua musica è molto melodica e creativa.
Il Potpourri per Viola e Orchestra di Hummel, specialmente nella sua versione ridotta, la Fantasia, ha dato un importante contributo al repertorio della viola nel primo Romanticismo; l’originale, pubblicato come Op. 94 nel 1820 circa, include temi tratti dal Don Giovanni e Le Nozze di Figaro di Mozart, e dal Tancredi di Rossini.
Per quanto riguarda le composizioni orchestrali, i compositori del diciannovesimo secolo cominciarono sempre di più ad interessarsi al particolare timbro e colore della viola, e ad evidenziare tali caratteristiche scrivendo parti molto più interessanti e significative.
Possiamo citare la Nona Sinfonia di Beethoven, in cui dominano le voci gravi, in particolare all’inizio del celebre Inno alla gioia, in cui il tema è affidato in apertura solamente a violoncelli e contrabbassi, con la successiva entrata delle viole.
Altri esempi sono il famosissimo poema sinfonico Don Quixote di Strauss, la Sesta Variazione “Ysobel” dalle Variazioni “Enigma” di Edward Elgar, e il movimento La Paix dal balletto Coppélia del compositore Léo Delibes (1836-1891), nel quale alla viola è affidato un solo di grande importanza.
Anche Berlioz ha avuto un ruolo fondamentale nella scrittura di parti rilevanti e progressivamente sempre più difficili per questo strumento, così come lo ebbero Wagner, Tchaikovsky (1840.1883), Mussorgsky (1839-1881) e Richard Strauss.
Hector Berlioz è il compositore simbolo del Romanticismo francese; la sua influenza è stata fondamentale nello sviluppo della musica romantica, in particolare per compositori come Richard Wagner, Franz Listz, Richard Strauss, Gustav Mahler (1860-1911) e molti altri.
Berlioz aveva una personale visione della composizione orchestrale, che espone nel suo trattato di strumentazione e orchestrazione. Egli generò nuovi colori musicali e combinazioni sonore che introdusse nella sua scrittura per orchestra; grazie al suo lavoro, cori, voci soliste, arpa e sassofono (invenzione del belga Adolphe Sax, suo amico) divennero parte integrante dell’orchestra sinfonica.
Sperimentò anche l’effetto acustico stereofonico, utilizzò la idée fixe (“idea fissa”, ovvero un pensiero musicale ricorrente strettamente associato ad una persona o ad una ossessione, predecessore del Motiv di Wagner) e creò l’organico dell’orchestra moderna. Berlioz era ossessionato dall’idea di creare un proprio linguaggio musicale; nella sua famosa e autobiografica Sinfonia fantastica (1830), l’idée fixe incarna la passione ossessiva per la donna da lui amata, l’attrice shakespeariana Harriet Smithson.
La Sinfonia “Aroldo in Italia” per Viola Solista e Orchestra Op. 16 di Berlioz è un tributo al poeta romantico George Byron, ispirata al poema Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, che descrive i viaggi di Byron lungo le coste del Mediterraneo. Berlioz strutturò la sua sinfonia in quattro parti e cercò di ricreare, attraverso il suo linguaggio musicale, ciò che aveva visto e sentito durante il viaggio in Italia.
Il decisivo miglioramento nella costruzione degli strumenti, le crescenti abilità dei violisti e il progresso delle tecniche compositive hanno sicuramente contribuito ad aumentare il repertorio concertistico per viola. Tuttavia, i compositori del periodo romantico hanno quasi sempre preferito utilizzare la viola principalmente nella musica da camera.
Già a partire da Haydn, Mozart e Beethoven, si può parlare di un vero e proprio sviluppo dell’identità di questo strumento, e ciò è avvenuto soprattutto nei quartetti e nei quintetti per archi, ma anche in alcuni duetti e trii. Le parti scritte per la viola diventarono progressivamente sempre più tecnicamente equivalenti a quelle affidate al violino o al violoncello, acquisendo allo stesso tempo maggiore importanza nello sviluppo del discorso musicale.
Nella sua musica da camera, Haydn utilizza uno stile di composizione basato sul dialogo strumentale, dove, a differenza del contrappunto, ogni strumento contribuisce con il proprio carattere allo sviluppo del discorso musicale. Applicandosi al quartetto oltre settanta volte in quarant'anni, Haydn ne arricchì e ne sviluppò enormemente le possibilità, ne fece il "principe" della musica strumentale da camera e consegnò infine nelle mani dei suoi successori un genere musicale ben definito e allo stesso tempo capace di ulteriore e radicale evoluzione per oltre un secolo, e con questo si guadagnò l'appellativo di "padre del quartetto".
Un notevole esempio è il Quartetto in Do maggiore No.3 Op. 76, conosciuto come Kaiserquartett (“Quartetto Imperatore”), scritto su commissione del conte Erdödy nel 1796-1797, ed eseguito per la prima volta a Vienna il 12 febbraio 1797 in occasione del compleanno dell’imperatore Francesco II.
La particolarità di questo quartetto è l’utilizzo, come tema del secondo movimento, della melodia dell'inno austriaco (e poi tedesco) Gott erhalte den Kaiser, composto da Haydn su un testo del poeta Lorenz Haschka. Nel Poco adagio; cantabile, l’esposizione del tema dell'inno imperiale, pacato e solenne come un inno religioso, è seguita da quattro variazioni, in cui Haydn, senza modificarlo, affida il tema di volta in volta a uno strumento diverso, avvolgendolo d'un contrappunto sempre più denso. Nella terza variazione la parte del canto è affidata alla viola, che emerge nel dialogo strumentale con un carattere struggente e trascinante, grazie al timbro malinconico ed appassionato del registro medio-acuto in cui è impiegata.


Mozart ampliò e sviluppò notevolmente il dialogo strumentale iniziato da Haydn, e soprattutto credeva moltissimo nella potenza sonora ed espressiva della viola, per la quale, nei suoi quartetti e quintetti d’archi, scrive passaggi molto importanti e simili a quelli del violino. Ad esempio, nel suo ultimo quartetto (K 590), alla viola sono affidati dei soli che richiedono un notevole virtuosismo.
Di particolare rilievo è anche il Quartetto No. 15 in Re minore K 421, completato nel giugno del 1783, il secondo di un ciclo di sei quartetti dedicati ad Haydn, e l’unico in tonalità minore. Questo quartetto condivide le atmosfere drammatiche di grandi capolavori operistici mozartiani, come l’Ouverture del Don Giovanni e l’Aria della Regina della Notte del Flauto Magico. Il movimento conclusivo (Allegro ma non troppo) è un Tema con Variazioni, che costituisce un esplicito omaggio ad Haydn, richiamando l'analogo movimento del suo Quartetto No. 5 Op. 33. Il tema è una semplice pastorale in ritmo di Siciliana (6/8), seguito da quattro ampie variazioni; la terza variazione vede protagonista la viola, che, quasi come un personaggio di un’opera dello stesso Mozart, prende parola in modo drammatico ed espressivo al dialogo strumentale.

Mozart compose anche sei quintetti d’archi, in cui l’utilizzo di due viole gli consentiva differenti modi di “orchestrazione” delle parti e un conseguente rafforzamento nel registro medio. Egli scelse la viola anche nella sua famosa Sinfonia Concertante e nei suoi Due Duetti per Violino e Viola. Infine, degno di menzione è il suo Kegelstatt Trio per Viola, Clarinetto e Pianoforte K 498 (“Trio dei birilli”), che Mozart scrisse per i suoi tre strumenti prediletti.
L’italiano Alessandro Rolla (1757-1841) fu compositore, insegnante e virtuoso di violino e viola, il cui importante contributo alla tecnica, al repertorio e alla storia della musica non è così spesso riconosciuto quanto dovrebbe. Maestro di Paganini, ebbe un ruolo fondamentale nell’evoluzione della tecnica del violino e della viola; alcune delle innovazioni con cui Paganini stupiva gli uditori, come doppie corde, passaggi velocissimi di terze e seste, ottave, scale cromatiche, picchiettato e pizzicato di mano sinistra, erano già state ampliamente adoperate da Rolla nelle sue composizioni.
Rolla scrisse diversi concerti e pezzi solistici per viola, tra cui la Sonata in Do maggiore per Viola e Basso e i tre Concerti per Viola e Orchestra. Come insegnante compose per i suoi allievi anche numerosi e difficili studi di tecnica in tutte le tonalità. Anche se oggi i lavori di Rolla non sono eseguiti così frequentemente come quelli di Haydn o Mozart, sono comunque dei meravigliosi esempi del periodo classico.
Niccolò Paganini (1839-1881) fu molto influenzato dallo stile compositivo di Rolla, ed ebbe in comune con lui il grande interesse per la viola, che lo ispirò a comporre importanti lavori per questo strumento, come la Sonata per la Grand’Viola e Orchestra, la Serenata per Viola, Violoncello e Chitarra, il Terzetto Concertante per Viola, Violoncello e Chitarra e il Quartetto No. 15 per Viola Concertante, Violino, Violoncello e Chitarra.
Paganini commissionò a Hector Berlioz l’Aroldo in Italia, una sinfonia in cui la viola doveva essere solista e avere una parte virtuosistica predominante. Tuttavia, la parte scritta da Berlioz non soddisfò pienamente le richieste di Paganini, che decise di scrivere lui stesso un brano per viola, la Sonata per la Grand’Viola (1834), una composizione con le stesse caratteristiche dei suoi virtuosistici lavori per violino.
Questa Sonata prevede un Recitativo iniziale, seguito da una serie di Variazioni, che permettono al virtuoso di dare esibizione di tutta la sua tecnica. Paganini cercava un modo per produrre nuove combinazioni sonore e timbriche, per questo esplora l’intero registro della viola e utilizza la stessa tecnica che adoperava sul violino, introducendo spesso la scordatura, doppi armonici, scale cromatiche, passaggi di ottave e pizzicato di mano sinistra.
Beethoven scrisse molta interessante musica per viola nei suoi lavori cameristici, dandole spesso linee melodiche o raddoppi occasionali della melodia; la melodia può essere infatti enfatizzata e rinforzata raddoppiandola in ottava, come avviene nella parte della viola e del primo violino nel primo movimento del Quartetto Op. 18 No. 4. Nei suoi primi sei quartetti, Beethoven utilizza gli archi in una maniera molto simile a Mozart, mantenendo le strutture formali introdotte da Haydn, ma nel Quartetto Op. 18 No. 1 affida al violoncello una nuova “voce” nel discorso musicale tra le parti, e nell’ultimo movimento del Quartetto Op. 18 No. 6 crea un nuovo tipo di struttura formale, con l’aggiunta di un movimento lento di danza che intitola La Malinconia.
Il Settimino in Mi bemolle maggiore Op. 20 è uno dei pezzi di musica da camera più apprezzati di Beethoven; scritto per violino, viola, violoncello, contrabbasso, clarinetto, corno e fagotto, è composto da sei movimenti, in ciascuno dei quali vi è una parte solistica per ogni strumento del gruppo.
Un altro brano un po’ meno importante è il Duo per Viola e Violoncello in Mi bemolle maggiore (“con due paia di occhiali obbligati”), scritto nel 1796, ma pubblicato postumo nel 1912. Beethoven stesso si dilettava a suonare la viola.
Tra il 1805 e il 1806, egli compose i Tre Quartetti Op. 59, che sono significativi per la transizione verso il periodo romantico; questi sono ricchi di idee formali e stilistiche innovative, seguono la logica dell'esperienza sinfonica, senza che venga compromessa la specificità cameristica delle composizioni, che anzi trae nuova linfa da un concetto di “massa” sonora, per cui veramente il quartetto non è più un insieme di quattro strumenti ma un unico strumento esso stesso.
Come negli ultimi quartetti di Beethoven, anche nei lavori di Schubert possiamo cogliere il forte spirito del Romanticismo. Egli dedicò gran parte della sua vita alla musica da camera, scrisse molti quartetti d’archi, un quintetto e un ottetto.
Compose il Quintetto d’archi in Do maggiore (D 956, Op. post.163) nel 1828, pochi mesi prima di morire, ma questo fu pubblicato solo nel 1853, ed è considerata una delle composizioni di musica da camera più belle mai scritte. Schubert fece una scelta inusuale per la formazione dell’organico del suo quintetto e non seguì l’esempio di Mozart e Beethoven; egli scelse infatti due violoncelli, arricchendo enormemente il registro grave. La grande varietà armonica, le sfumature di colore e i contrasti timbrici danno a questo quintetto delle proporzioni sinfoniche; soltanto il primo movimento dura quasi quanto un’intera sinfonia classica.
Anche Schumann, Mendelssohn e Brahms diedero alla viola un ruolo importante nei loro lavori cameristici.
Nella sua raccolta di quattro pezzi per viola e pianoforte, Märchenbilder Op. 113 (1851), Schumann sceglie la viola per evocare attraverso il suo timbro cantabile e nostalgico lo spirito delle “storie fantastiche” di gusto tedesco, ricche di simboli e di allegorie legate alle leggende popolari, forse immaginando la viola come lo strumento del menestrello. Schumann scrisse anche una raccolta di quattro pezzi per clarinetto, viola e pianoforte, Märchenerzählungen Op. 132 (1853).
Figura dominante e pienamente rappresentativa del primo periodo romantico è il compositore, direttore d’orchestra e pianista tedesco Felix Mendelssohn Bartholdy (1809-1847). Nonostante la sua morte prematura a soli trentotto anni, Mendelssohn compose cinque sinfonie, altri numerosi lavori orchestrali e di musica da camera, e centinaia di composizioni vocali.
La Sonata in Do minore per Viola e Pianoforte è la sua composizione per viola più famosa; datata 1824, non venne mai pubblicata durante la vita del compositore. Mendelssohn stesso suonava la viola e conosceva bene le difficoltà compositive ed esecutive proprie dello strumento, ma anche il valore e l’importanza del suo ruolo nella musica da camera.
Sempre in età adolescenziale, egli scrisse uno dei suoi più grandi capolavori, l’Ottetto per archi Op. 20 (1825), in cui si possono cogliere caratteristiche stilistiche proprie dei suoi lavori successivi, come la brillantezza che caratterizza il movimento dello Scherzo.
Questo ottetto presenta una strumentazione inusuale per l’epoca, quattro violini, due viole e due violoncelli, probabilmente ispirata al Doppio Quartetto in Re minore Op. 65 (1823), lavoro contemporaneo del compositore tedesco Louis Spohr (1784-1859), che usa la stessa combinazione di archi. Ma, a differenza di quest’ultimo, la novità del brano di Mendelssohn consiste nella complessità polifonica, che richiede un impegno pressoché paritetico a tutti gli strumenti, con una scrittura che per molti versi può essere considerata "sinfonica". E, in questa prospettiva, è illuminante l'indicazione riportata dallo stesso compositore sulla partitura autografa:
«Questo Ottetto va suonato da tutti gli strumenti nello stile di un'orchestra sinfonica. I piani e i forti vanno rispettati attentamente e sottolineati con più forza di quanto si usa in opere di questo genere».
Il Quintetto per archi No. 2 in Si bemolle maggiore, con due viole, fu scritto da Mendelssohn due anni prima della sua morte, ed è uno dei suoi lavori più maturi. Il quintetto con due viole, come genere, era stato già precedentemente sperimentato da Mozart, che ne aveva scritti sei.
Brahms, come Bach, incarna la sintesi di un periodo della storia della musica. Lontano dal considerarsi un rivoluzionario, il compositore preferiva volgere lo sguardo al passato piuttosto che al futuro, utilizzando strutture formali classiche senza ulteriori sperimentazioni. Contrariamente a Schumann, che creava forme musicali plasmandole secondo la propria visione personale, Brahms conserva le tradizioni musicali di Bach e Mozart.
Soprattutto nella sua musica da camera, egli impiega le tradizionali tecniche di contrappunto, includendo canoni e fughe all’interno del discorso musicale, ma, allo stesso tempo, amplia il vocabolario armonico e cambia le tradizionali nozioni di tonalità. Un esempio di questo è il Sestetto per archi No. 2 Op. 36, con le sue strutture armoniche innovative e i suoi contrasti ritmici e melodici.
Brahms, a partire dalle sue prime composizioni, scrisse molta musica in cui la viola aveva la possibilità di emergere; ad esempio, la Serenata per piccola orchestra No. 2 Op. 16 non prevede l’uso dei violini, e questo mette in risalto la viola.
Il grande apprezzamento di Brahms per la viola è testimoniato anche in altri suoi lavori di musica da camera, come il Quartetto Op. 8 e il Quartetto Op. 11, i Due Sestetti per archi Op. 18 e Op. 36, i Quartetti Op. 51 No. 1 e No. 2, e il Quartetto Op. 67. In modo particolare, nel terzo movimento di quest’ultimo quartetto (Agitato, Allegretto non troppo - Trio) il tema è affidato prevalentemente alla viola, mentre i due violini e il violoncello, con sordina, fanno da supporto alla melodia. Il movimento è frastagliato ritmicamente e caratterizzato da motivi e accenti di danza in un clima psicologico cupo. L’atmosfera è malinconica, caratterizzata da continue linee melodiche discendenti, che danno l’impressione di dirigersi verso un livello sempre più oscuro e di contagiosa sofferenza interiore. La sezione centrale del Trio sembra portare uno spiraglio di luce, ma la sua durata è breve e svanisce come un sogno. La viola, grazie al suo particolare timbro scuro e malinconico, così vicino al registro della voce umana, in questo movimento del quartetto si presta perfettamente nel dare voce alle idee musicali di Brahms.

Brahms scrisse anche Due Canti (Zwei Gesänge) per Contralto, Viola e Pianoforte Op. 91, intitolati Gestillte Sehnsucht (Nostalgia placata) e Geistliches Wiegenlied (Ninna-nanna spirituale), come regalo per il violinista e virtuoso Joseph Joachim, suo fraterno amico.
Le due Sonate in Fa minore e in Mi bemolle maggiore Op. 120, originariamente scritte per clarinetto e pianoforte, sono state il più importante contributo nel diciannovesimo secolo al genere della sonata per viola, rappresentando il culmine del successo di Brahms come compositore di musica da camera, e hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia della viola.
Parallelamente a questa tendenza nella ricerca di nuovi modi di trattare le tonalità e i timbri strumentali all’interno della musica da camera, alcuni compositori cominciarono a interessarsi ai ritmi e alle melodie folkloristiche del loro paese nativo.
I compositori cechi Antonín Dvorák (1841-1904) e Bedrich Smetana (1824-1884) furono grandemente influenzati dalla tradizione musicale slava, il cui linguaggio è facilmente riconoscibile nelle loro composizioni. Entrambi hanno scritto parti significative per la viola nei loro lavori di musica da camera; è esemplificativo il fatto che i loro quartetti comincino sempre con un solo della viola.
Lo stesso Dvorák amava suonare la viola, e celebre in questo senso è il suo Quartetto No. 12 "Americano" in Fa maggiore Op. 96. Nonostante nella musica di questo compositore ci sia una predominanza assoluta della cultura slava, il suo stile è anche largamente influenzato dalle tradizioni germaniche, in particolare da compositori come Brahms e Wagner. Anche Smetana scrive parti di rilievo per la viola nel suo Quartetto No. 1 “From My Life”.
Le composizioni di Henri Vieuxtemps, Max Bruch e Max Reger sono anch’esse un riferimento importante per il repertorio solistico della viola.
Henri Vieuxtemps è conosciuto come uno dei maggiori esponenti della scuola violinistica franco-belga durante il diciannovesimo secolo, mentre è meno conosciuto come altrettanto abile violista e compositore per viola. Le sue composizioni per viola mostrano una considerevole integrazione di stili, in particolare Beethoven e Schubert, con un personale approccio virtuosistico.
Sono otto le sue composizioni per viola conosciute, quattro delle quali hanno un numero di opera: Elegia per Viola e Pianoforte Op. 30 (pubblicata nel 1854), la Sonata Op. 36 (pubblicata nel 1863), il Capriccio “Hommage à Paganini” per Viola Sola (No. 7 Op. 55) e l’Allegro e Scherzo per Viola e Pianoforte Op. 60.
Inoltre egli scrisse anche una parte di viola per il suo Duo Brillante Op. 39 per violino e violoncello, in cui la viola può prendere il posto del violoncello.
Tra le sue opere senza numero né data troviamo l’arrangiamento de La Nuit di Felicien David, il Quintetto per clarinetto di Mozart nella versione per viola e pianoforte, e l’Étude in Do minore, originale per viola e pianoforte. Ad eccezione delle prime due, tutte le opere di Vieuxtemps sono state pubblicate postume.
La Sonata Allegro e Scherzo è incompiuta ed è impossibile datarla, ma probabilmente fu la sua ultima composizione per viola. Il titolo, Allegro et Scherzo pour Piano et Alto Concertants, indica come entrambi gli strumenti siano impegnati in un dialogo virtuosistico paritario.
Le composizioni per viola di Vieuxtemps sono un esempio del percorso evolutivo stilistico del compositore; il linguaggio operistico tipico dei suoi concerti per violino lascia spazio, nel periodo più maturo, ad uno stile esclusivamente sinfonico. Il linguaggio operistico è ancora evidente nella Elegia per Viola e Pianoforte, mentre la Sonata Op. 36 è già un esempio della tradizionale forma di sonata del periodo romantico.
Max Bruch (1838-1920) visse durante un periodo in cui l’idioma musicale subì molti cambiamenti, ma rimase romantico. Fra il 1910 e il 1913 compose brani di particolare importanza per la viola.
Gli Otto pezzi per Clarinetto, Viola e Pianoforte Op. 83 sono tra i pochi altri lavori cameristici del compositore tedesco a godere oggi di una qualche notorietà. Composti nel 1910 (Bruch aveva allora 72 anni), sono delle pagine di rara bellezza che valorizzano i timbri caldi del clarinetto e della viola. Esse furono ispirate probabilmente dalle doti del figlio, Max Felix, brillante clarinettista. I brani, oltre a presentare analogie con alcune pagine mozartiane (Kegelstatt Trio) e schumanniane (Marchenerzählungen), sono anche arricchite da echi della musica popolare balcanica, questi ultimi suggeriti dalla principessa Sophie zu Wied, futura regina d’Albania e dedicataria dell’opera. Tutti i pezzi sono scritti in tonalità minori, tranne il settimo, e rivelano una mentalità compositiva ancora pienamente inserita nell’ambito stilistico del tardo romanticismo, del tutto indifferente alle innovazioni e ai rivolgimenti post-wagneriani che scuotevano in quel periodo il mondo musicale austro-tedesco.
La Romanza per Viola e Orchestra in Fa maggiore Op. 85 (1911) dall’impronta lirica ed espressiva, è un’ulteriore conferma della fedeltà di Bruch allo stile romantico. Infine, il Concerto per Clarinetto, Viola e Orchestra in Mi minore Op. 88 (1913), composto da Bruch sempre per il figlio clarinettista, in cui viola e clarinetto dialogano e condividono un suono morbido e caldo, che il compositore amava particolarmente.
Il compositore tedesco Max Reger (1873-1916) seppe fondere insieme i metodi barocchi e classici con il nuovo linguaggio armonico e cromatico dell’epoca. Fu grandemente influenzato dal cromatismo e dai “motivi” di Wagner e dal contemporaneo, poco più vecchio di lui, Richard Strauss, ma alla fine del suo percorso compositivo la sua posizione era già proiettata nel periodo neo-classico.
La musica di Reger spesso combina le strutture classiche di Beethoven e Brahms con i percorsi armonici di Listz e Wagner e il complesso contrappunto di Bach. Egli compose moltissimi lavori per organo, pianoforte, orchestra, ma anche musica vocale e musica da camera.
I due Trii per Pianoforte Op. 2 e Op. 102 sono un esempio del primo periodo compositivo di Reger; nel Trio Op. 2, scritto per violino, viola e pianoforte, l’influenza melodica e armonica di Brahms è evidente, ma già la struttura formale si comincia ad allontanare da quella chiara e lineare di quest’ultimo.
I primi lavori di Reger sono molto diversi dalle sue ultime composizioni, in cui il compositore percorre nuove strade tonali. I suoi quartetti d’archi, in particolare nei movimenti finali, presentano una scrittura polifonica, mentre le sue Sonate sono un esempio di uno stile più melodico, intrecciato ad un complesso accompagnamento.
Nel 1894 Reger ascoltò le sonate per clarinetto/viola e pianoforte che Brahms aveva scritto per Richard Mühfeld, e decise anch’egli di comporre una serie di pezzi sul modello di queste, quindi con la parte adattabile ed interscambiabile fra clarinetto e viola. Scrisse le prime due composizioni (Op. 49) nel 1900, mentre la terza (Op. 107), molto più lunga ed elaborata, fu pubblicata solamente otto o nove anni dopo.
Negli ultimi anni della sua vita Reger tornò ad uno stile compositivo più semplice. La Serenata per Flauto, Violino e Viola Op. 141a, composta nell’anno della sua morte, dimostra questa tendenza. Tra i suoi lavori orchestrali troviamo invece le Tre Suites per Viola Sola Op. 131d, scritte sempre in questo stesso periodo, chiaramente ispirate a quelle di Bach, nel ricreare le danze e le arie del diciottesimo secolo. Tutte e tre le suites cominciano con un Preludio, ma solamente la seconda ricorda una suite barocca.
E con questo è tutto! (Ma solo per quanto riguarda questo particolare periodo storico, naturalmente...)
Spero di aver reso l'idea su quanto materiale sia stato scritto, pagine e pagine di veri e propri capolavori della musica!
Nel mio prossimo articolo vi parlerò di un particolare contributo al repertorio violistico; quello di Hector Berlioz e della sua composizione Harold en Italie ("Aroldo in Italia"), uno dei lavori più famosi che siano mai stati scritti per la viola.
Grazie della lettura e a presto!!!
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